Mino Pecorelli insieme ad Aldo Modo

Sono trascorsi 45 anni dall’omicidio del giornalista di Sessano del Molise



di Giovanni Petta

SESSANO DEL MOLISE. Ci sono voluti anni e tenacia per far emergere la verità. La verità è quella dell’uomo e del giornalista, finalmente considerato così com’è stato nella realtà delle cose: un indagatore, un appassionato curioso delle cose del mondo, un giornalista capace di creare una rete importante di amicizie e di informatori.



La tenacia è quella di Rosita Pecorelli, la sorella di Mino, che non si è mai arresa alle risposte pigre e stanche di chi non aveva alcun interesse a trovare i colpevoli, esecutori e mandanti. Una donna che finalmente può essere soddisfatta di ciò che ha fatto per suo fratello. Nessun arresto e nessun criminale condannato – questo non era il suo compito – ma la restituzione al racconto dell’ultimo secolo di una figura limpida che si staglia su tanti protagonisti della storia della repubblica ormai totalmente dimenticati. E che siano dimenticati è un bene per loro.

Il lavoro di Mino Pecorelli è oggi riconosciuto come un lavoro serio e meticoloso, persino anticipatore di quel giornalismo d’inchiesta tanto osannato e temuto dal Potere.

Eppure contro la sua figura c’è stato un lavoro minuzioso e costante, nel tentativo di screditarlo. Persino la fotografia diffusa dopo il suo omicidio era stata scelta con questo obiettivo: era l’immagine più brutta tra quelle a disposizione di chi si occupò della questione, presa da una serie in cui faceva boccacce scherzando con sua madre.



Oggi, finalmente, ricordiamo il giornalista di Sessano del Molise, a quarantacinque anni dalla sua morte, con fotografie che rendono giustizia della sua prestanza e della sua bellezza, proiezione tutta positiva – visto che per tanti anni è stato fatto il contrario – della sua dirittura morale.

“Forse sarebbe cambiata tutta la narrazione successiva, se avessero usato, invece di quella bruttissima e ormai famosa, una qualsiasi tra le altre foto che erano a disposizione di investigatori e stampa subito dopo la sua morte” – dice così, non senza rammarico, Valter Biscotti, avvocato di Rosita Pecorelli.

“Il riconoscimento alla sua professionalità – dice Giulio Vasaturo, legale della Federazione Nazionale Stampa Italiana, che si è costituita parte civile – avrebbe dovuto avvenire molto tempo prima. Per molti aspetti, è stato un innovatore”.

Claudio Ferrazza, avvocato di Stefano Pecorelli, il figlio del giornalista, riferisce degli approfondimenti necessari su quanto emerso dalle sentenze relative alla strage di Bologna. Si cerca ancora dappertutto.

Il ricordo di Mino Pecorelli, nel giorno dell’anniversario della sua morte, deve servire a ribadire la sua capacità di cercare le notizie e di pubblicarle per primo. La sua competenza nel creare e mettere insieme quelle fonti di informazione che ogni giornalista vero desidera avere: politici, militari, alti prelati, industriali, colleghi giornalisti, appartenenti ai servizi di intelligence civili e militari.

Oggi gli si riconosce il possesso della logica necessaria per incrociare efficacemente i dati e la capacità di leggere i bilanci delle aziende. Attraverso tutto ciò comprendeva, capiva, rilevava e rivelava le cause di ciò che la maggior parte dei cittadini, e la maggioranza dei giornalisti, riusciva a osservare solo nei suoi effetti, nelle conseguenze, condannati a subire senza capire o, forse, senza porsi troppe domande.