Occhi Puntati

Problemi di equilibrio post Covid, speranze per una cura: lo studio internazionale

A riferirlo la professoressa Arianna di Stadio, docente all’Università di Catania e ricercatrice presso l’UCL Queen Square Neurology di Londra


ROMA. I primi risultati incoraggianti relativi a un trattamento per i problemi di equilibrio dovuti al post Covid arrivano dallo studio internazionale condotto dalla professoressa Arianna di Stadio, docente all’Università di Catania e ricercatrice presso l’UCL Queen Square Neurology di Londra. A riferirlo l’agenzia Dire.

“Stiamo studiando – spiega la professoressa Di Stadio – gli effetti della neuroinfiammazione sui disturbi dell’equilibrio nel post Covid e conducendo uno studio internazionale che coinvolge Italia, UK e USA per comprendere come l’infezione da Covid-19 possa essere responsabile dei disturbi cronici dell’equilibrio, in particolare della Postural Persistent Perceptual Dizziness (PPPD). Con questo termine, abbreviato in 3PD, definiamo una condizione di disturbo dell’equilibrio persistente, che generalmente risulta negativo a tutti i test diagnostici dell’equilibrio e induce una sensazione di instabilità nel paziente, limitando significativamente la normale attività quotidiana. Il disturbo è legato a un deficit di compenso centrale dopo uno o più episodi di vertigini, generalmente vertigini parossistiche benigne causate dallo spostamento anomalo degli otoliti”.

“L’origine della mancanza di compenso in seguito alla vertigine è oggetto di ampio studio e la neuroinfiammazione è certamente implicata nel processo di non recupero – aggiunge la neuroscienziata – I risultati preliminari dello studio multicentrico che stiamo conducendo, con capofila in Italia il Santa Lucia Irccs di Roma (ospedale che ha recentemente vinto un PNRR con un progetto sulla PPPD), dimostrano che la neuroriabilitazione può aiutare a risolvere il problema, soprattutto se associata a una molecola anti-neuroinfiammazione. Poiché abbiamo esperienza nell’utilizzo con successo della Pealut ultra micronizzata per il trattamento della brain fog e dei disturbi olfattivi, la stiamo testando anche nella PPPD”.

“Attualmente, – prosegue – i dati preliminari estratti da 17 pazienti dimostrano che in 2 di loro (11,8%) l’infezione da Covid-19 ha causato la PPPD, mentre in 6 casi (35,3%) l’infezione ha peggiorato i sintomi. Si può quindi ipotizzare che in 8 dei 17 pazienti osservati (47%) l’infezione abbia un ruolo in questa condizione. Considerando questo disturbo dell’equilibrio tra i disturbi del Long-Covid, questi dati preliminari identificano un 11% della PPPD legata all’infezione da SARS-CoV2, percentuale che è in linea con i dati relativi al Long-Covid”.

Differenti studi scientifici confermano che, a distanza di cinque anni dalla pandemia, sebbene l’infezione da SARS-CoV2 sia diventata tra i virus che causano comunemente raffreddori e influenza, le sequele di questa infezione continuano ad avere un impatto significativo su una parte della popolazione mondiale.

A livello mondiale, si stima che una percentuale tra il 10 e il 25% delle persone che hanno avuto il Covid-19 presenti la persistenza di alcuni sintomi a distanza di 4-5 settimane dalla risoluzione dell’infezione. I sintomi più comuni del Long-Covid sono la stanchezza persistente, i disturbi dell’attenzione (la cosiddetta brain fog), la cefalea persistente e i disturbi di gusto e olfatto. A questi sintomi si aggiungono disturbi di ansia, tosse persistente e disturbi del ritmo cardiaco.

Uno studio pubblicato su JAMA Neurology ha spiegato come l’infezione da SARS-CoV2 possa scatenare una neuroinfiammazione responsabile dei sintomi del Long-Covid. Studi condotti in diverse parti del mondo sui primati (scimmie), inclusi Stati Uniti, Olanda e Giappone, e pubblicati su riviste scientifiche accreditate, dimostrano come il virus sia in grado di causare l’infiammazione del cervello, pur senza attraversare direttamente la barriera ematoencefalica.

Alessandra

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