Il torneo dell’altoatesino è stato perfetto sin dalla prima settimana, chiusa senza concedere neanche un set agli avversari


di Matteo Mongiello

Dal lontano 1976- quando Adriano Panatta trionfò sulla terra rossa francese del Roland Garros- ad oggi ci son voluti ben 48 anni per poter rivedere un italiano alzare al cielo un trofeo del grande slam e, nella meravigliosa domenica di Melbourne, Jannik Sinner è riuscito a vincere il suo primo Australian Open, battendo in rimonta al quinto set Daniil Medvedev.

La stupenda chiusura del 2023, con il trionfo della Coppa Davis e la doppia vittoria ai danni del numero uno al mondo – e forse della storia- Novak Djokovic, ha lasciato presagire che, ai nastri di partenza di questo nuovo anno, Jannik Sinner potesse presentarsi come uno dei principali candidati a ruolo di protagonista per la lotta al primo seed del circuito e le aspettative sono già state ripagate.

Il torneo dell’altoatesino è stato perfetto sin dalla prima settimana, chiusa senza concedere neanche un set agli avversari, stessa sorte capitata anche agli ottavi a Khachanov e ai quarti a Rublev, impotenti davanti alla forza fisica -ma soprattutto mentale- dell’attuale numero quattro al mondo.

Le sfide impossibili sono il ‘pane quotidiano’ di Jannik e, l’impresa di scalare ’ l’Everest del tennis’ Novak Djokovic- specialmente in terra australiana-è stato il banco di prova definitivo per dimostrare al mondo di essersi conquistato un trono al tavolo dei grandi.

Il serbo, vincitore a Melbourne per ben dieci edizioni, gioca -a sua detta- la peggior partita in carriera, grazie soprattutto all’aggressività del ventiquattrenne italiano che, in poco più di un’ora, si ritrova a un passo dall’ennesimo 3-0 del torneo, sopra di due set e con un match point sulla racchetta nel tie break del terzo – poi ribaltato da Nole-.

A fare di Sinner un campione ad alti livelli non è un colpo in particolare – vedasi il rovescio di Medvedev, il migliore nel circuito e arma in più del russo- ma bensì la tenuta mentale e la sua capacità di non innervosirsi, fondamentale nei momenti di difficoltà come il quarto set della semifinale, dove Djokovic manca di lucidità e regala un break fatale dopo essere stato in vantaggio per 40-0, consegnando così nelle mani dell’azzurro la finale, abdicando dal trono del cemento australiano e legittimando il nativo di San Candido come sua personale ‘Kryptonite’ dopo la terza sconfitta in pochi mesi.

Nella domenica mattina con più sveglie puntate della storia, lo scenario è da incubo quando il tabellone recita 2-0 Medvedev dopo un’ora e mezza di gioco, con il russo – protagonista della maratona con Zverev in una semifinale decisa al quinto e totalmente ribaltata dopo l’iniziale svantaggio di due parziali- mai scalfito dai colpi di Jannik.

Il punto di svolta -e già immagine iconica- avviene in dirittura d’arrivo del terzo set, quando Sinner si volta verso il suo box dichiarando ‘Sono morto’ illustrando al meglio la sua stanchezza, per poi riuscire a tenere il servizio e a ottenere il break nel game decisivo, rientrando con un 6-4 in partita.

‘Non sottostimare mai il cuore dei campioni’ è la frase storica di Rudy Tomjanovich, ex allenatore NBA, perfetta per rappresentare la figura del classe 2001, che rimette ‘a livello ‘ la partita nel quarto set replicando il 6-4 e consegnando il destino all’ultimo e decisivo set.

A spezzare l’equilibrio nel quinto è la palla break concessa da Medvedev – che non avrà mai modo di giocarne una- e convertita da Sinner, che lancia i titoli di coda sulla competizione, diventando il più giovane a vincere l’Australian Open proprio dai tempi di Djokovic, nel lontano 2008.

Con questo trionfo sono così cinque i vincitori di uno slam nell’olimpo italiano, con Jannik ad aggiungersi a Pietrangeli e Panatta – vincitori entrambi del Roland Garros-, oltre alla Schiavone – anch’essa detentrice di un titolo sulla terra rossa- e alla Pennetta – Us Open 2015 nel derby italiano con Roberta Vinci-, con la speranza di aggiornare al più presto il palmares del team azzurro, che oggi più che mai presenta tra le sue fila ‘una delle armi più pericolose dell’intero circuito’.