Il fatto del giorno

Educare all’affettività, Di Nezza: “La scuola lo fa già”

L’intervento della dirigente scolastica del Majorana-Fascitelli di Isernia in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne


ISERNIA. Riceviamo e pubblichiamo l’intervento della dirigente scolastica  dell’ISIS Majorana Fascitelli Carmelina Di Nezza in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne, in programma domani, 25 novembre.

Sono passati pochi giorni dall’uccisione di Giulia, l’ennesima vita stroncata dall’amore, un amore malato, non quello vero che, come scrive il suo papà, “non urla…non picchia…non uccide”.  

Il caso di Giulia ha smosso le coscienze, ci ha toccato nel profondo per la sua insensatezza, per la sua efferatezza, per il solo fatto di essere uno dei tanti, e ci costringe ad una riflessione attenta e matura su un fenomeno così dilagante da farci avvertire un senso di impotenza e inadeguatezza. 

Si indagano le cause, si attribuiscono le responsabilità, si cercano soluzioni. Ancora una volta si chiama in causa la Scuola e le si chiede di farsi carico del compito di educare le nuove generazioni all’affettività. Ben venga, ancora una volta la Scuola raccoglierà il fardello. Ciò che sconcerta, però, è che da sempre i docenti travalicano i confini della loro disciplina per fare della crescita emotiva e della socializzazione dei nostri ragazzi una priorità. La Scuola è e resta l’ultimo vero baluardo di inclusività, pari opportunità e legalità, uno dei pochi punti fermi in questa società fluida e cangiante nelle mode così come nei valori. Tra le mura di scuola i ragazzi imparano la bellezza, la tenerezza, il rispetto. Imparano a confrontarsi liberamente in un contesto che promuove la cultura del dialogo e stigmatizza i pregiudizi e gli stereotipi. 

Se questi insegnamenti non vengono, poi, tradotti in comportamenti responsabili e corretti nella vita di tutti i giorni, dobbiamo interrogarci forse sull’efficacia di quel patto educativo che la scuola propone alla comunità, invocando sostegno e collaborazione per poi ritrovarsi, invece, troppo spesso sola e con responsabilità che le competono solo in parte. Tanti, pur preposti al compito dell’educazione, hanno abdicato a questo ruolo, demandando e delegando. 

È arrivato il momento di chiederci quale futuro immaginiamo per i nostri figli, quale mondo vogliamo lasciare loro in eredità. E, se la risposta è la più scontata che si possa immaginare, è arrivato anche il momento di cambiare rotta, o forse semplicemente di ritrovare la vecchia, e tornare a sentirci tutti parimenti responsabili della direzione che la nostra società prenderà. 

Tutti noi, a diverso titolo, dobbiamo farci promotori di una rivoluzione culturale e diventare portatori di un messaggio di rifiuto di qualunque atteggiamento violento, discriminatorio, aggressivo. Dobbiamo tornare ciascuno a ricoprire il proprio ruolo, di genitori, di docenti, di amici, a dire NO ai “nostri” figli, e, in un mondo in cui regna il culto dei consensi, dei like, ad educarli al fallimento e al sacrificio. Se non si teme una sconfitta, non si allena il coraggio e, se non si superano le difficoltà, non si accresce l’autostima.  

Diamo fiducia ai nostri ragazzi, sono più forti di quanto crediamo, sosteniamoli e guidiamoli da lontano, perché cadere al posto loro non li aiuterà a rialzarsi quando inevitabilmente capiterà.

Domani, studenti e docenti sfileranno per le strade della città far sì che il silenzio non cada su questa vicenda; per dire NO alla violenza e promuovere un altro tipo di amore, quell’amore che è sinonimo di rispetto, fiducia, libertà, comprensione reciproca, l’amore ‘vero’. 

Scendiamo in piazza accanto a loro, uniamo le nostre voci e facciamo in modo che la morte di Giulia non sia stata vana.

Deborah

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