A lanciarlo è la moglie del ricercatore italo-palestinese: “Non ci sono notizie del suo attuale stato di salute psico-fisico. E quotidianamente viene sottoposto a interrogatorio senza la presenza del suo difensore”


TEL AVIV. Un nuovo appello per la liberazione di Khaled El Qaisi, italo-palestinese, trattenuto dal 31 agosto dalle autorità israeliane al valico di frontiera di ‘Allenby’ e tuttora prigioniero.

A lanciarlo è ancora una volta la moglie, Francesca Antinucci, attraverso la sua pagina Facebook.

Giovedì scorso si è tenuta a Rishon Lezion a sud di Tel Aviv, l’ultima udienza conclusasi con una proroga della detenzione per altri 7 giorni, al termine dei quali si troverà nuovamente a comparire davanti al giudice il 21 settembre.

“Il legale, impossibilitato per legge fino alla sera di mercoledì 13 a comunicare col proprio assistito -scrive Francesca – ha finalmente potuto avere un colloquio con Khaled e il giorno successivo hanno potuto, a differenza delle altre udienze, essere contestualmente presenti in aula.

Tuttavia, ad eccezione di un’altra sola visita e di una telefonata tra l’avvocato e Khaled, non ci sono notizie del suo attuale stato di salute psico-fisico. La nostra viva preoccupazione è rivolta alla totale assenza di quei diritti quasi universalmente condivisi la cui osservanza consente di definire un processo ‘equo’ e un arresto ‘non arbitrario’.

Sono 17 i giorni di detenzione in cui Khaled viene quotidianamente sottoposto a interrogatorio senza la presenza del suo difensore, è solo mentre affronta domande e pressioni poste dai poliziotti nella saletta di un carcere. Non gli è consentito conoscere gli atti che hanno determinato il suo arresto e la protrazione dello stesso; non sa chi lo accusa, per quale ragione lo faccia, cosa affermi in proposito. Anche i motivi del suo arresto appaiono assolutamente generici e privi di specificità. Inoltre, l’arresto si fonda esclusivamente su meri sospetti e non su indizi gravi di colpevolezza. Ciò che rappresenta maggior ragione di inquietudine e preoccupazione è che, se l’autorità israeliana non riuscirà ad acquisire prove per istruire un processo entro 45 giorni dall’arresto, potrebbe trovarsi costretta a revocare la detenzione penale ma potrà anche decidere di sostituirla con quella amministrativa, condizione giuridica nella quale si trovano altri 1200 palestinesi ristretti in carcere senza un’accusa formale, senza alcuna prova e senza poter conoscere le ragioni del loro trattenimento.

In considerazione della sempre più allarmante situazione di Khaled e del mancato rispetto dei suoi diritti umani si chiede che si faccia tutto il possibile per ottenerne l’immediata liberazione”.