Ufficio P.a. (foto Fanpage)
ROMA. Il debito commerciale della Pubblica amministrazione italiana, al 2021, ha toccato la quota record di 55,6 miliardi di euro, cifra pari al 3,1 per cento del Pil. Il valore più alto d’Europa. A rivelarlo è la Cgia di Mestre, secondo i dati esaminati. I debiti in conto capitale, cioè quelli riferiti ai ritardi o mancati pagamenti per investimenti, secondo una stima dell’Ufficio studi della Cgia, potrebbero aggirarsi attorno ai 10 miliardi di euro. Sommandoli ai 55,6 di parte corrente l’ammontare complessivo dei debiti commerciali della PA italiana arriverebbe a oltre 65 miliardi di euro. Una somma da capogiro che negli ultimi 2 anni è stata la pietra tombale per diverse aziende, fallite per crediti con lo Stato che non sono riuscite a riscuotere.
Le principali cause che hanno originato a questa cattiva abitudine sono principalmente la mancanza di liquidità da parte del committente pubblico, i ritardi intenzionali, l’inefficienza di molte amministrazioni a emettere in tempi brevi i certificati di pagamento e le contestazioni che allungano la liquidazione delle fatture. A queste ragioni ne vanno aggiunte almeno altre due: la richiesta, spesso avanzata dalla PA nei confronti degli esecutori delle opere, di ritardare l’emissione degli stati di avanzamento dei lavori o l’invio delle fatture; l’istanza rivolta dall’Amministrazione pubblica al fornitore di accettare, durante la stipula del contratto, tempi di pagamento superiori ai limiti previsti per legge senza l’applicazione degli interessi di mora in caso di ritardo.
Vero è che negli ultimi anni i ritardi, misurati con l’Indice di Tempestività dei pagamenti, sono mediamente in calo. Ma secondo la Corte dei Conti si starebbe consolidando una tendenza che vede le Amministrazioni pubbliche privilegiare il pagamento in tempi brevi delle fatture d’importo maggiore e ritardare intenzionalmente la liquidazione di quelle d’importo più basso. Questa scelta penalizzerebbe le piccole imprese che, generalmente, lavorano in appalti o forniture di importi nettamente inferiori a quelli ‘riservati’ alle attività produttive di dimensione superiore.
Nel 2021 tra i Ministeri con portafoglio, riporta TgCom24, solo 2 su 14 hanno rispettato le scadenze di pagamento previste dalla normativa vigente. Tutti gli altri, invece, hanno pagato in ritardo. La situazione è addirittura in peggioramento; nei primi 3 mesi di quest’anno, dei nove ministeri che hanno aggiornato l’Itp solo quello delle Politiche agricole ha pagato in anticipo (-37,07 giorni). Tra le realtà amministrative pubbliche più in difficoltà nel saldare i fornitori ci sono i Comuni del Sud. Nel 2021, infatti, dall’analisi dell’ITP si evince che l’amministrazione comunale di Lecce ha pagato le fatture ricevute con 50 giorni di ritardo (dato riferito al 3° trimestre 2021), a Salerno dopo 61 giorni, ad Avellino dopo 72 giorni, a Reggio Calabria dopo 154 giorni e a Napoli con 228 giorni di ritardo. Nel capoluogo regionale campano, se escludiamo i giorni festivi, i fornitori vengono pagati dopo un anno dalla scadenza prevista dalla normativa nazionale.
Secondo l’Ufficio studi della Cgia, saldare solo la metà di questi debiti potrebbe portare a un’iniezione di liquidità capace di creare almeno 250 mila nuovi posti di lavoro. Intanto la Corte di Giustizia Europea ha già condannato l’Italia per la violazione dell’art. 4 della direttiva UE 2011/7 sui tempi di pagamento nelle transazioni commerciali tra amministrazioni pubbliche e imprese private.
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