Il governo ha aggiornato il documento da seguire in caso di un attacco o un incidente in una centrale. Dalle pillole di iodio al cibo


ROMA. L’ombra di una guerra nucleare si addensa sul mondo e, chiaramente, anche sull’Italia. Ed ecco che il governo ha provveduto ad aggiornare il “Piano nazionale per la gestione delle emergenze radiologiche e nucleari”, trasmettendolo poi alle Regioni. Ad accompagnare il documento una relazione che descrive tre scenari possibili e le misure per mettere al riparo la popolazione. A sintetizzarli è Fiorenza Sarzanini per il Corriere della Sera.

Il primo scenario -si legge – considera un incidente a un impianto posto entro 200 km dai confini nazionali tale da comportare l’attuazione di misure protettive dirette e indirette della popolazione, e di altre misure, quali la gestione di cittadini italiani che si trovano nel Paese incidentato o che rientrano da esso, e la gestione delle importazioni di derrate alimentari e altri prodotti contaminati.

Il secondo scenario considera un incidente ad un impianto in Europa posto oltre 200 km dai confini nazionali tale da comportare l’attuazione di misure protettive indirette della popolazione, e di altre misure quali la gestione di cittadini italiani che si trovano nel Paese incidentato o che rientrano da esso, e la gestione delle importazioni di derrate alimentari e altri prodotti contaminati.

Il terzo scenario considera un incidente ad un impianto posto in qualsiasi altra parte del mondo tale da comportare l’attuazione di misure di risposta quali la gestione di cittadini italiani che si trovano nel Paese incidentato o che rientrano da esso, e di misure per la gestione delle importazioni di derrate alimentari e altri prodotti contaminati.

Ad essere, naturalmente, più preoccupante è il primo scenario che considera l’eventualità di un incidente entro i 200 chilometri.

Secondo il documento è necessario “prendere in considerazione, per aree del Nord e Centro-Nord d’Italia più prossime all’impianto interessato dall’ipotetico evento incidentale, a tutela di particolari gruppi di popolazione, quali ad esempio bambini, lattanti, donne in gravidanza ed allattamento, una serie di provvedimenti da attuarsi nella prima fase dell’emergenza”. Si parla di:

adozione di una misura protettiva di riparo al chiuso; previsione della disponibilità, e delle relative modalità di distribuzione, di dosi di iodio stabile; provvedimenti restrittivi del consumo degli alimenti e di protezione del patrimonio zootecnico”.

In relazione alla deposizione al suolo – ancora il Corsera – “è necessario prevedere la predisposizione del controllo radiometrico sulla cui base individuare i provvedimenti a protezione della salute pubblica e a tutela dell’ambiente da attuarsi nella seconda fase dell’emergenza: provvedimenti restrittivi del consumo di alimenti di origine animale e/o vegetale; misure a protezione del patrimonio zootecnico, ad esempio: l’inibizione del pascolo e/o il confinamento degli animali in ambienti chiusi, l’alimentazione degli animali con cibo ed acqua non contaminati, il rinvio della macellazione degli animali contaminati; l’adozione di ulteriori provvedimenti a protezione della salute pubblica nelle fasi successive dell’emergenza”.

La prima fase – viene specificato – inizia con il verificarsi dell’evento, e si conclude quando il rilascio di sostanze radioattive è terminato. È caratterizzata dal passaggio sul territorio interessato di una nube radioattiva. Le principali vie di esposizione sono l’irradiazione esterna e l’inalazione di aria contaminata. Durante questa fase sono necessarie azioni tempestive di contrasto all’evoluzione incidentale e l’attuazione tempestiva delle misure protettive a tutela della salute pubblica”. Pertanto, alla popolazione darà indicato di restare nelle abitazioni, con porte e finestre chiuse e i sistemi di ventilazione o condizionamento spenti, per brevi periodi di tempo, di norma poche ore, con un limite massimo ragionevolmente posto a due giorni.

Nelle aree interessate dal provvedimento, sono attuate in via precauzionale le seguenti ulteriori misure protettive: “Blocco cautelativo del consumo di alimenti e mangimi prodotti localmente (verdure fresche, frutta, carne, latte); blocco della circolazione stradale; misure a tutela del patrimonio agricolo e zootecnico”.

E ancora, in caso di adozione della misura di riparo al chiuso, le autorità competenti: “comunicano tempestivamente alla popolazione il tempo di inizio e la durata della misura di riparo al chiuso; restano in contatto con la popolazione fornendo le informazioni necessarie e i relativi aggiornamenti; istituiscono modalità di contatto informativo per la popolazione (numero verde); forniscono istruzioni specifiche alle scuole; fanno fronte ai bisogni primari della popolazione (cibo, acqua, assistenza sanitaria, energia, ecc.); effettuano il monitoraggio delle dosi per valutarne l’efficacia; coordinano l’impiego delle strutture operative dislocate sul territorio”.

“La seconda fase è successiva al passaggio della nube radioattiva, ed è caratterizzata dalla deposizione al suolo delle sostanze radioattive e dal loro trasferimento alle matrici ambientali e alimentari. Le principali vie di esposizione sono l’irradiazione diretta dal materiale depositato al suolo, l’inalazione da ri-sospensione e l’ingestione di alimenti contaminati”.

Tra le misure, come su citato, c’è la iodioprofilassi, ma perché? “Tra le sostanze radioattive che possono essere emesse in caso di grave incidente nucleare, c’è lo Iodio 131. Il rischio di induzione di carcinoma tiroideo da iodio radioattivo è fortemente dipendente dall’età al momento dell’esposizione; più precisamente la classe di età 0-17 anni risulta quella a maggior rischio di effetti dannosi. Tale rischio si riduce sensibilmente negli adulti e tende ad annullarsi oltre i 40 anni di età. Esiste una maggiore radiosensibilità della tiroide in alcune condizioni fisiologiche (allattamento e gravidanza)”. Alla luce di ciò la iodioprofilassi è quindi prevista per le classi di età 0-17 anni, 18-40 anni e per le donne in stato di gravidanza e allattamento.

“Il periodo ottimale di somministrazione di iodio stabile – prosegue l’articolo – è meno di 24 ore prima e fino a due ore dopo l’inizio previsto dell’esposizione. Risulta ancora ragionevole somministrare lo iodio stabile fino a otto ore dopo l’inizio stimato dell’esposizione. Da evidenziare che somministrare lo iodio stabile dopo le 24 ore successive all’esposizione può causare più danni che benefici”.

Decisamente diversa la situazione se l’incidente si verificasse in una centrale europea. “Sulla base delle valutazioni effettuate, un ipotetico incidente, anche severo, in una centrale europea meno prossima al territorio nazionale non necessiterebbe di misure protettive dirette.

Resta, invece, necessario, in relazione alle deposizioni al suolo, prevedere la predisposizione del controllo radiometrico per la caratterizzazione radiologica ambientale e per il monitoraggio delle matrici ambientali e alimentari per estese parti del territorio nazionale, sulla cui base individuare poi i provvedimenti a protezione della salute pubblica e dell’ambiente da attuarsi analogamente a quanto indicato per il caso di incidente ad un impianto a meno di 200 km”.