di Adolfo Stinziani

LARINO. Siamo nel centro storico della città Frentana, precisamente sulla nota via Leone che ha inizio con la torre campanaria del duomo, il nome della strada deriva da un’antica scultura leonina murata su una delle abitazioni private.

Lo studioso Fatica ha avanzato anche la sua personale ipotesi per cui questa via ricorda la costellazione del leone. Secondo le sue considerazioni la pianta antica della città di Larino, che fu fondata nel VI secolo in epoca romana, ricalca la testa della costellazione astrale del leone, disegnata tra due delle tre porte del Castellum; via Leone univa le principali due porte dell’urbe, quelle della Virginis e della Librae che hanno un preciso orientamento astrale.

A conferma di quanto supposto è lo stemma di Larino che non va interpretato esclusivamente in termini araldici, bensì come il mito della costellazione della Vergine, che insieme ad altre costituisce l’impianto urbano del centro antico di Larino.

L’ala sinistra in campo azzurro, presente in due formelle marmoree all’interno della chiesa di San Pardo, rappresenterebbe l’ala sinistra della figura astrale della Vergine che contiene la sua stella maggiore denominata Spica, una reminescenza dell’antica divinità agraria Demetra, ed essa coincide planimetricamente col portale del duomo dove sorgeva l’antico tempio pagano intitolato alla madre dell’agricoltura e della fertilità.

Sull’antica via leone sorgono, oltre il Palazzo dei Brencola, diversi edifici di antiche casate, come quello dei Raimondo (sono ben due edifici con due portali), dei Caradonio, dei Borzillo-Romano e, a chiusura della strada, il vastissimo Palazzo Maggiopalma-Christinziani, tutti di recente iscritti all’Associazione Dimore Storiche Italiane.

Il Palazzo dei Brencola ha subito nel corso dei secoli radicali rimaneggiamenti ma le sue origini sono medievali (XIV secolo).

La famiglia dei Brencola, di origini napoletane, ne prese possesso nel secolo XVIII ed è molto probabile che esso era collegato con la sede dell’antico episcopio situato nelle vicinanze, in vico giglio.

Il Palazzo passò per successione alla famiglia dei Lipartiti di cui il maggiore rappresentante è stato l’avvocato e politico Raffaele (1866-1948).

I personaggi illustri della casata dei Brencola che meritano di essere menzionati furono il giureconsulto Teodoro Maria e il canonico teologo e filosofo Francesco (1737-1800), autore di importanti testi filosofici: “Saggio filosofico-politico-religioso sulla Libertà e suoi diversi aspetti”, “Istituzioni del diritto della natura umana ossia compendio delle primarie leggi divine, promulgate agli uomini per mezzo della retta ragione”.

Francesco nella primavera del 1799 fu a capo di un gruppo di cittadini larinesi per evitare attacchi al centro frentano, andando incontro a una spedizione punitiva dei francesi che provenivano da San Severo.

Il Palazzo dei Brencola presenta intatto il suo cortile, lastricato di pietre, il portale, anch’esso originario, mostra nella chiave di volta solo in parte l’emblema della casata, rimane un mistero e suscita curiosità la cancellazione dei simboli nella parte interna della detta pietra, tuttavia la cornice è integra nelle sue volute settecentesche e il motivo a conchiglia sottostante.

 Un altro ingresso si apre sul vico denominato Brencola, attualmente murato in parte per ricavarne solo una piccola porta, un altro interrogativo è nello stemma del portale, anche questo cancellato da colpi di scalpello.

Come ho già detto la famiglia era di origini napoletane ma fissò la sua residenza a Larino alla fine del Seicento, fatto sta che un’epigrafe recita chiaramente l’amore per la antica Città Frentana.

Agnello Maria Brencola, oriundo partenopeo, nell’anno 1719 eresse questa umile villa per le delizie proprie e degli amici, dove una volta sorgeva una superba città.

Di questa villa rimane nel Piano San Leonardo, dove era la Larino romana, solo un rudere (che invito a restaurare e valorizzare come uno dei diversi beni culturali larinesi lasciati nella più totale incuria) e fortunatamente il portale con la lastra che nello scritto, tradotto dal latino, ci rimanda al glorioso passato della Città Frentana.

La figura di Francesco Brencola, canonico e rettore del primo Seminario della Cristianità di Larino è senza dubbio quella che merita un approfondimento per il suo peso religioso innanzitutto ma anche per l’impegno filosofico e politico.

Il periodo storico in cui visse è caratterizzato da nuove correnti di pensiero che partendo dall’Inghilterra si diffusero soprattutto in Francia e in maniera più pacata nella nostra Penisola.

Il movimento culturale dell’Illuminismo è uno dei più ricchi e fecondi che criticherà e darà un taglio decisivo col passato, ricostruendo una realtà nuova che affronta in maniera diversa i problemi dell’uomo e non solo sul piano filosofico ma con un diretto approccio al quotidiano, si vuole ripartire su un piano razionale che esclude la priorità dell’idea religiosa in favore dei “lumi della ragione”.

Il Molise, che allora faceva parte del Regno di Napoli, non fu escluso da questo vasto movimento, molto efficace fu l’insegnamento di Antonio Genovesi che ebbe numerosi discepoli tra cui G.M. Galanti e F. Longano.

Il nostro Francesco Brencola insegnante e rettore nel Seminario di Larino stila il suo Saggio della Libertà, confutando le idee filosofiche che attraversavano l’intera Europa. Nel capitolo III scrive:

Cosa è dunque in genere la libertà? Io non so definirla prima di conoscere l’uomo. L’uomo guardato nel suo ultimo genere, e nelle differenze più proprie, mi si mostra un animale attivo e pensante.

Il contenuto dell’opera esamina i vari aspetti della libertà dal suo personale punto di vista filosofico, religioso e anche politico, formulando un concetto di libertà che nel “periodo dei lumi” era stato esaltato se non malinteso.

Il Brencola riprende la dottrina scolastica di Tommaso d’Aquino, che si riallaccia a sua volta alla filosofia aristotelica ma che rielabora in una visione cristiana. La conoscenza e i concetti presenti nella mente umana derivano dall’esperienza sensibile, la ragione non è sufficiente per capire l’esistenza di Dio ma è la fede di cui si ha bisogno per giungere a Lui, però San Tommaso d’Aquino crede che la ragione e la fede si possano conciliare.

L’uomo non potrà mai essere completamente libero, perché è limitato nel suo essere e non ha i mezzi per eliminare tutti i mali ma gode della capacità di volere e di scelta, valendosi del libero arbitrio. Il nostro filosofo sviscera nel suo Saggio le diverse forme di libertà, partendo dalla libertà di pensiero, per la quale solo l’ignoranza può distruggerla o diminuirla; la libertà di scrivere, che amplia la conoscenza e ci fa raggiungere le persone lontane; la libertà politica, che si perfeziona con le leggi civili e non debbono contrastare con la libertà naturale; la libertà di religione, che è offesa dalla idolatria, diffamatrice della natura di Dio e degli uomini, così pure come il Naturalismo, che conduce all’indifferenza, dando spazio a ogni tipo di religione purchè si manifesti seguendo l’ottica della Ragione.

La religione cristiana, secondo il pensiero del canonico larinese, non fa che perfezionare la libertà dell’uomo con tutti i suoi dogmi, essi non si oppongono alla ragione umana perché sono superiori alle capacità limitate dell’uomo ma non contrarie.

L’amore per il prossimo, ragionato e riassunto nel mandatum magnum: Ama Dio e ama il prossimo, costituisce il collante di tutte le società umane, si fa custode di tutti i diritti e tra questi quella più desiderata come è la libertà, è inoltre un dispensatore provvidenziale di tutti i beni e il rimedio più efficace contro ogni sofferenza.

E dopo tutta queste dissertazioni di ordine filosofico, politico e religiose, per cui l’uomo non è solo un “animale attivo” ma anche pensante e che agisce secondo il suo pensiero esercitando la libertà naturale, ovvero la facoltà di agire secondo il consiglio della ragione, mi congedo con una mia poesia.

La mia testa è una foresta di pensieri.

Un po’ di vento non porta via quello che penso,

i miei pensieri hanno profonde radici.

Parto, da solo, per vedere il mare,

con ansia aspetto di vedere il suo orizzonte azzurro

che non si può varcare, infinito mare.

Sulle tue rive la mia anima

come un cane fedele si lascia accarezzare,

e mi concedo al vento fra i colori di una calda estate.

La riva rassicura, ma la vela è nata per il vento,

e io torno a navigare nella brezza di quel mare

cercando limpidi orizzonti.

E quando la tristezza ha mille inespresse parole,

cerco riparo all’ombra di un pino,

dal sole amaro scandito dal canto della follia,

e al profumo delle zagare canto alla gioia.

(In Antologia Poetica “Percorsi”, di Adolfo Stinziani, 2021, Palladino Editore)