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Coronavirus, AAA cercasi ventilatori polmonari: poi spunta azienda italiana

Solo un mese dopo la proclamazione dello stato di emergenza da parte del Governo, la Consip scova nel Bel Paese una realtà che produce i macchinari per le terapie intensive. Ora lo sforzo è massimo, ma si è perso tempo


Anche l’Italia, con l’azienda Siare Engineering, produce ventilatori polmonari. Ma la notizia, nient’affatto trascurabile, si apprende solo nei primi giorni di marzo, ossia un mese dopo il decreto legge atto a proclamare lo stato di emergenza per il coronavirus.

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È infatti il 2 marzo – si legge su Il Fatto Quitidiano – quando la società statale Consip viene indicata “soggetto attuatore” per gli acquisti per fronteggiare il Covid-19; il 4 marzo la Protezione civile comunica il fabbisogno ospedaliero. E, in poche ore, scorrendo l’elenco dei fornitori della Pubblica amministrazione, Consip individua la Siare Engineering. Si tratta di un’azienda con sede a Valsamoggia, in provincia di Bologna, fondata nel 1974, una realtà che conta una trentina di dipendenti e che vende all’ estero il 90 per cento della propria produzione. Subito viene allertata la Protezione civile, quindi Palazzo Chigi.

Il 6 marzo il premier Giuseppe Conte, con Borrelli e Domenico Arcuri, si collegano in videoconferenza con Gianluca Preziosa, direttore generale di Siare Engineering, per chiedere uno sforzo per fornire al Paese almeno 2mila ventilatori polmonari.
Preziosa accetta. Il ministero della Difesa – ancora Il Fatto Quotidiano – manda nei capannoni di Valsamoggia i militari dell’esercito, il gruppo Fca e la Ferrari forniscono del materiale. Si lavora per superare la produzione di 500 ventilatori polmonari al mese, in un’azienda che in tempi normali realizza non più di 40 pezzi giornalieri.

Il direttore generale è rammaricato: “Si poteva fare meglio con un po’ di anticipo. Dopo il contatto con Conte ho subito bloccato i respiratori già imballati nei cartoni per partire verso l’Asia, così ne abbiamo recuperati più di trecento per gli ospedali italiani. Ho vuotato il magazzino. Adesso dal Sudamerica mi domandano 3.500 pezzi, ma ho rifiutato perché la mia fabbrica è a totale disposizione del governo”.

Un impegno importante, in piena emergenza. Si fa il possibile per soddisfare il fabbisogno. Ma ci si poteva arrivare molto prima.

 

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Alessandra

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