Si, nonostante le violenze, anche il peggior genitore è vissuto dal proprio figlio, come colui al quale è comunque legato da un rapporto affettivo intriso di sogni, aspettative e bisogni di vicinanza e nutrimento emotivo. In caserma ripercorre tra le lacrime gli anni di sofferenza: «Papà ha ci ha sempre picchiato. Facevo gli incubi e temevo che ci uccidesse nel sonno….Il futuro per noi non esisteva più e per questo non siamo neanche più andate al pronto soccorso o a denunciarlo». Debora, messa ai domiciliari, torna in libertà: l’accusa nei suoi confronti è stata subito derubricata da omicidio volontario in eccesso colposo di legittima difesa. Il quadro di violenze in cui è maturato l’omicidio rende necessario sottolineare alcuni aspetti cruciali che hanno concorso nella determinazione del fatto:

1) una esposizione costante ad un modello relazionale di violenza subita e assistita;
2) una iper-responsabilizzazione della figlia che ha assunto il ruolo di genitore nel difendere negli anni sua madre dalle violenze;
3) una patologia del sistema di relazioni familiare che interessa le dinamiche dei rapporti tra i vari membri, in cui la differenza di genere si modella sul binomio violenza-sottomissione (moglie “crocerossina”);
4) un legame d’attaccamento al padre informato al modello disorganizzato-maltrattante;
5) sfiducia della madre e della figlia nel proseguire con interventi giudiziari;
6) l’assenza di politiche di intervento psicosociale su famiglie a rischio (ricordiamo che il padre era noto alle forze dell’ordine per precedenti penali ed ai servizi sociosanitari per pregresso Tso nonché dipendenza da alcool);
7) una Comunità che, come rimarcato anche dal Procuratore, non si sente responsabile di quanto avviene ad un suo membro.

Tutti i vicini ed i familiari sapevano, ma quel nucleo era solo, quelle donne, quella giovane ragazza era lasciata senza protezione, neanche sua madre era stata in grado di salvarla. Era sola contro tutto e da sola ha posto fine al suo incubo familiare. Siamo dinanzi a un “Parricidio reattivo”, compiuto per affrancarsi da violenze in un clima di costante terrore. In questo caso, la vittima del patricidio è ben inquadrabile, negli studi di vittimologia, come “vittima che aggredisce” (quando il comportamento della vittima può aver favorito il delitto, es. la condotta minacciosa o violenta di un soggetto può porre in imminente e grave pericolo qualcuno che è quindi costretto a difendersi con una reazione altrettanto violenta (artt. 52 e 54 c.p. – rispettivamente “difesa legittima” e commissione di delitto in “stato di necessità”), nonché “vittima provocatrice” (subisce una violenza per avere in precedenza suscitato l’esasperazione, l’ira, la ribellione di colui che poi reagirà perché provocato; in questi casi la vittima partecipa in maniera così evidente che quasi non la si percepisce psicologicamente ed eticamente come tale).

Ora, la giovane vittima, dovrà affrontare un faticoso travaglio psicologico che la vedrà impegnata su molteplici fronti: l’elaborazione di un lutto di cui suo malgrado si vede materialmente l’autrice, perdonare quindi se stessa, innanzitutto, ma perdonare anche e soprattutto una comunità adulta che non è stata in grado di difenderla e tutelarla, lasciandola sola, sin da piccolina. Non si confidava a scuola perché aveva interiorizzato nel corso della sua crescita la percezione dell’ “altro”, dell’” adulto” come spettatore quasi indifferente, nella sua incapacità di intervenire per salvarla. Aveva imparato che gli altri sapevano, come sapeva in effetti tutta la Comunità ed in primis i parenti ed i vicini, ma nessuno interveniva. Dovrà quindi ricostruire la possibilità di credere e dar fiducia all’altro, al mondo, nonché ridisegnare l’immagine della donna, dell’uomo e della loro possibile relazione in una dimensione psicologica affettiva nuova, consolatrice e ristoratrice, non più segnata da sottomissione e violenza, ma da rispetto e valorizzazione reciproci.

E’ la fine di un incubo che ha distrutto la vita di un fiore che ora dovrà raccogliere i suoi petali e permettersi una nuova fioritura, quella che ha sempre meritato.

*criminologa

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