ISERNIA. Bentrovati nella nostra settimanale rubrica di sicurezza informatica. Anni e anni di generi polizieschi televisivi ci hanno fatto familiarizzare con i criminali più incalliti, gli omicidi più efferati e con investigazioni complesse. Abbiamo sentito parlare di raccolta di impronte, di esami stub e di analisi del Dna in centinaia e centinaia di episodi. Da un po’ di tempo a questa parte, però, nei laboratori di ‘CSI-Scena del crimine’ vediamo analizzare computer e telefonini, non tanto per rilevare impronte, quanto per cercare file compromettenti o bypassare password a protezione di importanti segreti che verranno scoperti nell’episodio di domani.

Tra una pubblicità e l’altra, la televisione ci presenta la ‘Digital Forensics’, la nuova scienza delle investigazioni digitali, il cui scopo è proprio quello di individuare, acquisire, conservare e reportare la cosiddetta ‘prova digitale’, conosciuta anche come ‘digital evidence’. L’enorme diffusione di dispositivi digitali, soprattutto mobili (come smartphone e tablet) ha spinto legislatore e inquirenti a riconoscere un certo valore a questo tipo di prova. Molte informazioni importanti, infatti, sono sempre più contenute (o memorizzate) su dispositivi che ognuno di noi porta sempre con sé. Si può, quindi, affermare che ogni individuo ‘indossa’ letteralmente dati e informazioni che lo riguardano da vicino. Di conseguenza, è sempre più sentita la necessità di acquisire, in qualsiasi indagine o processo, anche (e soprattutto) dati di natura informatica. La prova digitale permette di accertare se sono stati commessi particolari crimini, detti ‘informatici’, cioè commessi utilizzando, violando o danneggiando strumenti info-telematici.

La legge n.48 del 2008 ha inserito nell’ordinamento giuridico italiano siffatte condotte criminose e previsto, per ognuna di loro, una specifica pena. Ma la prova digitale assume un ruolo di fondamentale importanza anche nell’accertamento di quei reati che nulla hanno di tecnologico. In questi casi, i dispositivi digitali possono contenere informazioni in grado di determinare la colpevolezza o l’innocenza dell’indagato. Non è sbagliato affermare che accanto alla cosiddetta ‘scena del crimine’ ce n’è sempre un’altra, di tipo ‘virtuale’, complementare e integrativa alla prima. Se si aggiunge che molti reati, oggi, vengono commessi soprattutto in rete, e sui social network in particolare, l’importanza della prova digitale diventa ancor più manifesta. La digital evidence, però, ha caratteristiche proprie, diverse da quelle delle prove tradizionali: si tratta di una prova ‘liquida’, ‘volatile’, facilmente alterabile e deperibile.

Queste sue peculiarità creano diversi problemi già nella fase delle indagini: riguardano l’identificazione del colpevole, del luogo in cui è stato commesso il reato e della conservazione stessa delle tracce informatiche rinvenute. Per questi motivi, occorre una figura professionale specializzata nel trattare questo nuovo tipo di prova: il ‘Digital Forenser’. Questo professionista ha tutte le competenze e le strumentazioni fondamentali per trattare, in totale sicurezza, tracce informatiche, senza che queste possano alterarsi o distruggersi perdendo, in tal modo, il proprio valore di fronte ad un giudice. Il Digital Forenser è in grado di individuare efficacemente una evidenza digitale; di acquisirla e conservarla ‘intatta’, senza che subisca alcuna variazione; di analizzarne la natura e il contenuto, estrapolando ogni informazione utile alle indagini in corso. Infine, l’investigatore digitale riporta, in modo chiaro e completo, i risultati della sua attività investigativa, certificando l’originalità di ciò che è riuscito a trovare e rapportandosi, infine, con le forze di polizia. Il Digital Forenser può, quindi, essere nominato ‘Ausiliario di polizia giudiziaria’ (ex articolo 348, 4° comma del Codice di procedura penale) o ‘Consulente Tecnico d’Ufficio’, il cosiddetto CTU, per quelle indagini condotte dalla magistratura (secondo gli articoli 61-64, 191-201 del Codice di procedura penale; gli articoli 89-92 delle disposizioni di attuazione del Codice di procedura penale; e gli articoli 225, 226, 230, 359, 360, 501, 502 e 510 del Codice di procedura penale). Inoltre, egli può essere nominato anche ‘Consulente Tecnico di parte’, o CTP, da coloro che intendono servirsi della sua certificazione tecnica per far valere i loro interessi in giudizio (secondo gli articoli 201 del Codice di procedura civile e 225 del Codice di procedura penale).

I-Forensics team